mercoledì 28 settembre 2011

Il sostegno agroambientale

Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 settembre la notizia della disponibilità sul sito della Corte Dei Conti della Relazione speciale n. 7/2011 «Il sostegno agroambientale è ben concepito e gestito in modo soddisfacente?».
Di particolare interesse le argomentazioni che introducono il volume.
Per stimolarne la lettura, oltre al link, si riportano i primi due punti dell’introduzione.
‘’1. A partire dagli anni settanta e ottanta, vi è stata una crescente attenzione per gli effetti negativi prodotti dall’agricoltura sull’ambiente. Questi riguardano, tra l’altro, la sempre maggiore specializzazione delle aziende agricole, l’uso di fertilizzanti e pesticidi, l’elevata densità degli animali e, soprattutto negli Stati membri dell’Europa meridionale, l’estensione delle superfici irrigue. Le garanzie di prezzo per i prodotti agricoli precedentemente offerte nel quadro della Politica agricola comune hanno incoraggiato queste pratiche agronomiche intensive.
2. Alcuni tipi di agricoltura estensiva, d’altra par te, possono pre¬servare il patrimonio ambientale degli spazi rurali. L’abbandono delle aziende estensive e dei terreni di loro pertinenza costituisce un problema crescente in alcune regioni dell’Unione europea (UE), che produce un impatto negativo sulla diversità biologica e paesaggistica, oltre ad accrescere il rischio di incendi boschivi. ‘’

Il testo integrale : http://eca.europa.eu/portal/pls/portal/docs/1/8760804.PDF

domenica 25 settembre 2011

Conversione delle biomasse a fini energetici

I processi di trasformazione possono essere classificati come:
• Combustione diretta.
• Processi di conversione chimica, più in specifico termochimici e biochimici.
• Processi meccanico / chimici dai quali si ottiene combustibili liquido attraverso spremitura e transerificazione.
Combustione diretta
Il processo di combustione avviene grazie all’utilizzo di stufe o caldaie, che possono essere di varia potenza, ed utilizzano come combustibili il legno (sotto forma di tronchetti, pellet, segatura, cippato), residui e prodotti agricoli, come paglia e semi, oppure residui agroalimentari.
Questa tecnologia presenta quindi il vantaggio di poter utilizzare materiale ritenuto “di scarto” e puó essere accoppiata con motori per la cogenerazione, in specifico l’impiego può essere possibile in turbine a gas a combustione esterna, motori Stirling, cicli vapore e cicli ORC.
Un’altra applicazione possibile è rappresentata dalla co-combustione, mediante la quale viene bruciata biomassa assieme al carbone, permettendo quindi di risolvere i problemi di approvvigionamento di biomassa e ridurre allo stesso tempo il consumo complessivo di carbone.
Conversione chimica
La distinzione che è possibile fare è tra la conversione termochimica e quella biochimica.
Il primo processo preso in considerazione è quello termochimico, il quale si basa sull’azione del calore che permetterebbe le reazioni chimiche necessarie per la trasformazione della biomassa (in genere legna e derivati, scarti di lavorazione e sottoprodotti di tipo lignocellulosico).
Un esempio di conversione termochimica è rappresentata dalla gassificazione, ovvero quel processo in cui la conversione della biomassa in composto gassoso avviene attraverso reazioni di ossidazione con ossigeno, aria, vapori e miscele di questi a temperature di circa 1000 °C.
Oltre alla gassificazione, rientra nella categoria dei processi termochimici anche la pirolisi.
Per pirolisi si intende un processo di decomposizione termochimica del materiale organico che si ottiene attraverso l’applicazione di calore (a temperature comprese tra i 400 ed i 1000°C), in condizioni di assenza di ossigeno.
Quest’ultimo particolare è ciò che distingue il processo della pirolisi dalla combustione, la quale richiede invece la presenza di un agente ossidante, appunto l’ossigeno.
Esiste inoltre un punto di contatto tra le due tecnologie illustrate, ovvero la pirogassificazione:
questa tecnologia permette di ottenere come prodotto finale il syngas, il quale ha il vantaggio di poter essere utilizzato sul luogo di produzione oppure può consentire lo stoccaggio in gasometri o essere trasportato attraverso gasdotti.
Un altro modello di conversione chimica è rappresentato dal processo biochimico. Questo processo permette di ricavare combustibile gassoso attraverso le reazioni biochimiche scatenate da enzimi, funghi o altri micro-organismi che si formano nella biomassa quando questa è conservata in particolari condizioni.
Un esempio di reazione biochimica è la digestione anaerobica ovvero un processo che avviene in assenza di ossigeno e permette il disfacimento di lipidi, glucidi e protidi contenuti nella materia organica, grazie all’azione di micro-organismi.
Il prodotto principale è un biogas costituito prevalentemente da metano (50-60 %) e CO2; altri sottoprodotti sono invece residui solidi che possono essere impiegati come fertilizzanti perché composti per lo più da fosforo, potassio ed azoto.
Accanto alla digestione anaerobica, troviamo tra i processi biochimici, tra cui la fermentazione alcolica, attraverso la quale è possibile ricavare bioetanolo in seguito alla trasformazione dei glucidi (proprio per questo motivo le biomasse utilizzate contengono una buona percentuale di zucchero e le più sfruttate sono barbabietola, canna e sorgo dolce).
Conversione meccanica
Questo ultimo tipo di conversione ricava combustibile attraverso operazioni prettamente meccaniche, come la spremitura, alle quali a volte si aggiunge la combinazione con processi chimici.
In questo caso le colture preferite sono colza, girasole, soia e palma, con rese diverse; l’olio vegetale viene quindi ottenuto semplicemente attraverso spremitura o spremitura associata ad un solvente, ed il prodotto finale, generalmente indicato come olio grezzo, seguirà un processo di raffinazione per eliminare eventuali impurità.
Conversione meccano-chimica
I processi meccanico-chimici permettono di ottenere un importante prodotto energetico, ovvero il biodiesel.
Il biodiesel è il prodotto di un’operazione chiamata transerificazione: si tratta della reazione per sostituzione dei componenti alcolici, come il glicerolo, con metanolo.
Ciò che in questo caso si ottiene assomiglia per molti aspetti al normale diesel e può rappresentarne una buona alternativa anche nei motori di piccola taglia; per quanto riguarda invece un raffronto con altri oli vegetali, il biodiesel presenta minori emissioni di particolato anche se risulta essere incompatibile con alcuni materiali impiegati con la costruzione di motori, come il bronzo, il rame e lo stagno.

lunedì 12 settembre 2011

Certificazione della sostenibilità

Difficile trovare una definizione della parola certificazione che non rimandi, in prima battuta, a quella di certificato.
Wikipedia reindirizza da certificazione a certificato, e recita: In senso proprio il certificato (dall'espressione tardo-latina certum facere, 'dichiarare vero', composta da certum, 'certo', e facere, 'fare') è il documento contenente una certificazione, intesa quale atto giuridico e, più precisamente, dichiarazione di conoscenza di fatti, atti o qualità, rilasciata in forma scritta da un soggetto investito di determinate attribuzioni ….
Volendo trovare una definizione di ‘certificazione della sostenibilità’, alle già citate difficoltà nell’intendersi sul significato di una parola, se ne aggiungono altre, quasi a creare un connubio incomprensibile.
Si può comunque operare la scelta di concentrarsi su un aspetto singolo di questo connubio, e dichiarare sinteticamente cosa rappresenti.
L’approccio più completo dal punto di vista ingegneristico è probabilmente quello legato all’analisi del ciclo di vita di un oggetto, cioè all’esame dell’assorbimento di risorse necessario per realizzarlo partendo dalle materie prime fino ad arrivare al suo smaltimento, o riciclo.
Questo approccio fornisce un elevato grado di dettaglio circa le fasi o i componenti di un prodotto che sono maggiormente energivore, ma richiede una conoscenza molto approfondita di ogni prodotto e della sua tecnologia produttiva.
La certificazione basata sul ciclo di vita sta iniziando a diffondersi, ma la certificazione di singoli aspetti della sostenibilità riscuote forse maggiore successo, perché di più semplice comprensione.
All’aumentare dei tipi di certificazione aumenta il rischio che si crei confusione, perché vengono a crearsi diversi tipi di rating, magari non comparabili fra di loro. Questo avviene, ad esempio, nella certificazione nel settore delle costruzioni.
Gli aspetti che vengono presi in esame dalle certificazioni sono spesso focalizzati sulla riduzione degli sprechi, in particolare quelli energetici, e sui consumi, sia attuali che futuri.
Gli scarti di lavorazione costituiscono un capitolo a se stante, al quale si cerca di rimediare con operazioni di riciclo.
Se questo metodo valutativo è accettabile per le costruzioni, o per i beni industriali, altrettanto non vale per le produzioni agricole, per le quali lo stoccaggio è critico, sia perchè spesso è possibile solo per brevi periodi di tempo che per gli elevati costi che comporta. Ma una certificazione della sostenibilità che non ponga dei requisiti circa l’utilizzo del prodotto non venduto, o anche di quello non raccolto per semplici considerazioni economiche sarebbe priva del criterio di credibilità.
E’ pertanto necessario impiegare tutto ciò che viene prodotto, che potrà essere destinato ad usi diversi a seconda anche di considerazioni economiche o scelte imprenditoriali.

giovedì 8 settembre 2011

kmzero , ovvero, dietro l'angolo

La cultura del Km zero è stata inizialmente promossa soprattutto da preoccupazioni di tipo ambientale, cioè dalla opportunità di ridurre la produzione di CO2 conseguente ai trasporti.
In realtà è più corretto interpretare questo concetto in una visione più organica, che include valori sociali, economici e culturali: non basta affermare che è necessario consumare meno combustibili fossili per migliorare la nostra vita, anche se questo è e resta un fatto molto importante.
Consumare prodotti locali significa migliorare la vita di chi consuma e di chi produce, significa incentivare i sistemi locali di produzione, creare lavoro, distribuire ricchezza, conservare le giuste tradizioni, creare sicurezza alimentare.
Non c’è solo l’ambiente quindi dietro questo fortunato slogan, ma possiamo affermare che i prodotti locali, spesso, sono più convenienti, perché i costi di logistica e di distribuzione sono ridotti, sono più freschi ed, in genere, si conservano più a lungo (questo significa ridurre lo spreco causato da tutti i prodotti alimentari che finiscono nella spazzatura e che ammontano ad oltre 500 euro per ogni famiglia italiana). Questi vantaggi sono tutti percepiti da chi acquista un prodotto locale, perché facilmente visibili. Ma è doveroso aggiungere che i prodotti kmzero creano importanti benefici a livello di sistema, quali la stabilità nel comparto alimentare, e quindi contribuiscono ad un controllo dei prezzi e favoriscono gli investimenti produttivi.
Ecco perché investire sui sistemi di produzione locali, e impegnarsi in questa battaglia che, prima ancora di essere economica, è appunto culturale.
Il prodotto kmzero, inoltre, è un prodotto di stagione. Ed è edificante l’esperienza di chiedere in una azienda agricola un prodotto fuori stagione: si è guardati come si guarderebbe un alieno, o un bimbo che farfuglia. Questa esperienza aiuta a sperimentare quanto sia vano il tentativo così umano di dominare la natura, e di ottenere, con la tecnologia o più semplicemente con i soldi, qualunque cosa.